Intervista a Nicola Vegro, regista e autore del libro “Antonio segreto”

Nicola Vegro è un albignaseghese doc, regista ed autore. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo e di parlare del suo nuovo libro, “Antonio segreto”.

D.- “Antonio segreto” è il primo romanzo storico sulla vita di s. Antonio di Padova. Com’ è nata l’idea di questo libro?

 R.- Venticinque anni fa doveva essere un film.

A quel tempo ero aiuto di Ermanno Olmi e con “Lunga vita alla signora” avevamo vinto il leone d’argento al festival del cinema di Venezia. Mi venne chiesto di realizzare un breve film sulla vita di s. Antonio di Padova; ne sapevo poco e iniziai a documentarmi. Le agiografie tradizionali mi diedero le prime basi sulla vita del santo e l’entusiasmo di nonna Annamaria fu una diretta testimonianza di quanto, nelle persone, la devozione per il grande Santo fosse sincera e radicata: miracoli e intercessioni venivano rievocati con misteriosa magnificenza e non c’era volta in cui, per ritrovare un oggetto smarrito, non recitasse il “Si quaeris miracula”, la tradizionale preghiera che il fedele rivolge al Santo per ritrovare qualcosa che ha perduto… Immancabilmente l’oggetto saltava fuori. Avevo già scritto una prima sceneggiatura quando, proprio in quei giorni, usciva in libreria la prima traduzione in lingua italiana de “I Sermoni di S. Antonio”, l’opera letteraria e teologica scritta dal grande Santo per preparare i confratelli alla predicazione. Mi sono affrettato a comprarlo!

Un volume corposo, più di milletrecento pagine scritte a caratteri piccoli e spesso dai contenuti noiosi e pesanti. Eppure, da quelle pagine, improvvisamente veniva fuori un Antonio del tutto inaspettato: forte, tenace e a volte persino spregiudicato! Qualche pagina mi faceva saltare sulla sedia e dovevo rileggere più volte per convincermi di ciò che era scritto…

“Il vescovo del nostro tempo è come Balaan,

colui cioè che turba la gente,

e con la sua avarizia divora il popolo.

Nella sua mano egli tiene una bilancia truccata,

perché predica in un modo, ma vive in un altro.

Quanti sono oggi i Vescovi che predicano la povertà

e invece sono avari,

Quanti sono oggi i Vescovi che predicano la castità

e invece sono lussuriosi,

Quanti sono oggi i Vescovi che predicano il digiuno e l’astinenza

e invece sono ingordi e golosi.

Per loro, nel libro dei Proverbi viene detto:

“Un anello d’oro al naso d’ un porco, così è la donna bella ma priva d’intelligenza

“Un anello d’oro al naso d’un porco”: così sono i preti, molli e agghindati;

sono come prostitute che si danno per danaro…”.

 

Faticavo a credere a ciò che leggevo. Quelle parole erano cariche di ribellione a un sistema corrotto e di voglia di giustizia. E soprattutto erano di una attualità disarmante. Ce n’era per tutti, persino per banche e usurai.

“Usurai! Gente maledetta! Siete peggio delle bestie feroci! Oramai vi siete impadroniti di tutta la città. Le vostre mani grondano di sangue e nelle vostre case c’è quello che avete rapito ai poveri!”
Poteva bastare. Non avrei più potuto parlare del Santo senza descrivere il suo impegno sociale.
Presi la sceneggiatura e la buttai nel cestino. Ne parlai con Olmi e mi incoraggiò a scrivere per un film.
Completata la nuova stesura la inviai a Roma perché fosse valutata nei contenuti, e conservo ancora la lettera inviatami da mons. Costalunga che si complimentava incoraggiando il progetto.

Forte di questa approvazione andai in RAI. Eravamo nel 1994. A quel tempo i santi in TV non erano ancora di moda e oltretutto, dopo qualche incontro, un dirigente mi prese sottobraccio e mi disse che quel film non l’avrei mai fatto: non era possibile parlare di sant’Antonio in quel modo.

S. Antonio doveva essere il santo dei miracoli, punto. Avrei potuto realizzare quel film solo a condizione di togliere le parti scomode che potevano suscitare scandalo. Non ci pensai nemmeno, sarebbe stato tradire il Santo, il suo pensiero e le sue opere. Il film non si fece e la sceneggiatura rimase in un cassetto. Per 25 anni ho convissuto con l’afflizione di qualcosa d’incompiuto.

Quatto anni fa decisi che quella parte, sconosciuta e segreta del Santo, doveva essere a tutti i costi conosciuta. Una volontà dettata dalla convinzione che in un periodo così travagliato per la Chiesa, dove ogni giorno qualche scandalo ne adombra la credibilità, in un periodo così difficile, non solo per i credenti, ma per tutta la società che si trova spesso disillusa e tradita, conoscere l’esempio e la rettitudine di un uomo che si è letteralmente consumato per la fatica (morto a soli 36 anni) per aiutare il prossimo e sanare le ingiustizie del suo tempo, sicuramente avrebbe accresciuto non solo la devozione popolare ma sarebbe stata d’ispirazione ed esempio per ogni persona.

Bussai al Messaggero di S. Antonio e presentai alcuni capitoli; piacquero, e iniziò l’avventura.
Voglio ringraziare padre Giancarlo Zamengo, direttore generale del Messaggero di Sant’Antonio e p. Fabio Scarsato, direttore editoriale, per avermi dato piena fiducia e per non avere mai imposto alcuna pressione o censura.

D.- Quanto è durata la stesura del testo?

Avendo una sceneggiatura completa, pensavo che il più fosse fatto, invece la trasposizione è stata molto più complessa. Scrivere per un libro, significa approfondire ogni argomento, ricercare documenti e fonti storiche, costumi e usi del tempo – in questo caso, del 1200 – e fare molta attenzione a non cadere in errori e sviste, anche banali come: “arrivò dopo dieci minuti” oppure “sbagliò di pochi centimetri”. In più di qualche libro mi è capitato di leggere cose di questo tipo, oppure: “ …i poveri fraticelli si cibavano solo di polenta e qualche buccia di patata…” Peccato che polenta e patate e altre cose ancora siano arrivate in Europa solo diversi secoli dopo!

In questo attento e minuzioso lavoro ho avuto la fortuna di essere affiancato da una squadra di collaboratori eccezionali: p. Luciano Bertazzo – direttore del centro studi antoniani – che ha firmato la supervisione storica del romanzo, senza dubbio una delle massime autorità nella conoscenza delle materie antoniane. Padre Bertazzo non solo è stato consulente storico del libro, ma è stato una fonte inesauribile di idee e suggerimenti. E poi, in ordine di apparizione,voglio infinitamente ringraziare il dott. Alberto Vela, il mio editor, che ha instancabilmente supervisionato la stesura del testo; Giuliano Dinon per la bellissima copertina; i professori Gigi Cerantola, Rosanna Rossa, Carla Ravazzolo, Giuliana Barzon, Enrico Zorpellon e Clemente Fillarini per la loro stretta collaborazione.

Infine un grande grazie a Katia Ondedei per aver letto e riletto (almeno otto volte) ogni nuova versione del romanzo e un bacio grandissimo a Marianna Cappelletta, la mia compagna, la “signora virgoletta” che oltre a sistemare un po’ di virgole, mi ha incoraggiato in molte lune difficili.

D.- Quattro anni di lavoro e poi?

E poi il gran momento. Il libro è stato presentato a Roma a “Più Libri Più Liberi” la grande fiera del libro di livello internazionale. Inutile dire l’emozione, aumentata dal fatto di avere due relatori di straordinaria caratura: Suor Mery Melone, la prima donna ad essere rettore di una Università religiosa e Michela Murgia, una delle scrittrici italiane più quotate. Ricevere il loro apprezzamento è stata una grande soddisfazione. Ma la sorpresa più grande è stata camminare per Roma e vedere nelle più importanti librerie il mio libro in vetrina, spesso vicino al libro di papa Francesco! Pochi giorni dopo fui ospite di Gigi Marzullo nella trasmissione “Milleeunlibro” e il calendario degli appuntamenti iniziò a riempirsi; due o tre incontri fissati per ogni settimana, da Febbraio a Luglio in tutta Italia. Poi il Covid ha cancellato tutto.

D.- “Antonio segreto” è stato scelto a Pordenonelegge, uno dei più importanti eventi dell’editoria italiana. Puoi riassumere la tua esperienza?

E’ stato fantastico. La cattedrale era al completo. Durante l’evento, aperto dal vescovo mons. Giuseppe Pellegrini, ho avuto l’onore di dialogare con Don Renato De Zan, consigliere pontificio e uno tra i più autorevoli biblisti. Le sue parole di elogio sul mio libro sono come una medaglia da fissare sul petto.

D.- Programmi futuri?

Sono molti, anche se rallentati da questo periodo difficile. Si prevede una traduzione per gli Stati Uniti e forse una in portoghese. Personalmente sto preparando il necessario per realizzare una fiction televisiva molto importante che coinvolga Portogallo, Spagna, Francia e Italia.

D.- … e Albignasego?

E’ sempre un punto di partenza… e un punto di arrivo.
Innanzitutto ringrazio il sindaco Filippo Giacinti e l’ass. Gregori Bottin per la bella serata di fine luglio a villa Obizzi dedicata al mio libro. Purtroppo caldo e vacanze hanno limitato l’affluenza ma i presenti hanno avuto la fortuna di ascoltare padre Luciano Bertazzo, una vera star in tema di S. Antonio.

Essere nato e vissuto ad Albignasego lo considero un privilegio. Al tempo della mia infanzia e adolescenza era ancora un piccolo paese, ma proprio grazie a questo si potevano cogliere, in modo diretto, autentico e amplificato, tutte le vicende dell’esperienza umana.

Figure come el Bao e el Pesse ad esempio, sembravano usciti da un racconto di Rodari. Erano l’emblema della povertà. Una povertà assoluta che aveva sembianze precise e persino un odore ben preciso. Ma nella loro assoluta povertà, pur senza averne coscienza, assolvevano a una loro funzione, esprimevano un monito sociale: “ … attento a non fare così, altrimenti anche tu finirai…”. In cambio, ricevevano un volontario sussidio fatto di poche lire, un pezzo di pane o un bicchiere di vino. Allora imparavi il valore della carità e dell’aiuto ai più bisognosi e sfortunati, precetti tanto cari a sant’Antonio che si sono perpetrati nel tempo, divenendo parte del nostro DNA, tanto da fare di Padova la capitale del volontariato.

Ma di questi aspetti e di molto altro, se vi può interessare, avremo modo di parlarne ancora.    

Assolutamente Nicola, ci farà molto piacere incontrarti, magari in altra occasione ci racconterai qualche aneddoto legato alla nostra Albignasego! Grazie

Matteo Venturini