Melchiorre Cesarotti, ecco cosa ha lasciato all’umanità

Una delle personalità più illustri che lasciò il segno nella nostra provincia, fu senza dubbio Melchiorre Cesarotti.

Noto scrittore, traduttore e poeta, fu uno dei maggiori esponenti dell’Illuminismo italiano in campo letterario. 

Nacque a Padova nel I730 da famiglia agiata, studiò dapprima al seminario e in seguito presso l’università di Padova, dove venne nominato docente di greco ed ebraico nel 1768, per passare nel 1797 alla cattedra di eloquenza.

 

Nel 1760 lascia la sua città per trasferirsi a Venezia per svolgere l’attività di precettore privato presso la famiglia Grimani, questa era una pratica molto diffusa, basti pensare al contemporaneo Giuseppe Parini (1729-I799) che dalla sua esperienza presso le famiglie milanesi, ne trasse il “Giovin signore” del poemetto satirico-didascalico “Il giorno” (1763).

Il soggiorno veneziano consentirà a Cesarotti di conoscere personalità di spicco della sua epoca tra cui: Carlo Goldoni, Gasparo e Carlo Gozzi e A. Querini. 

 

Del 1763 è la sua traduzione più famosa ovvero “I canti di Ossian” dello scozzese J. Macpherson – che narra per l’appunto, le audaci imprese del bardo Ossian – seguita da una seconda del 1772 in versione definitiva (non a caso da il nome al passaggio che costeggia il giardino di Villa Cesarotti).

 

Dopo aver ottenuto la cattedra all’università, gli vengono commissionate dai Riformatori dell’Ateneo, delle traduzioni di opere greche in particolare di Demostene, raggruppate poi in sei volumi ed editi tra il 1774 e il 1778.

Verso gli anni ottanta del settecento, Cesarotti aveva una fama ormai a livello internazionale, principalmente grazie alle traduzioni.

Nel 1783 incontra a Padova Vittorio Alfieri, che proprio in quell’anno dava alle stampe le sue prime dieci tragedie, grande estimatore di Cesarotti, cercava consiglio su come avvicinarsi ad uno stile tragico.

 

Tra i due “calò il silenzio” in seguito alla critica da parte di Cesarotti sulla tragedia “La congiura de’Pazzi”, letta dallo stesso Alfieri dinanzi a Cesarotti, opera assai lontana dallo stile e dal modello cesarottiano, incentrato sulla ragione. Rimasero in rapporti missivi, caratterizzati da un intenso sarcasmo.  

Fedele sostenitore delle idee Illuministe, all’arrivo Napoleone in Italia (1796), si schierò in suo favore, tanto da dedicarle un sonetto encomiastico. 

 

Napoleone dal canto suo gli dedicherà “La Pronea” duramente attaccata da U. Foscolo che scriverà: misera concezione, frasi grottesche, verseggiatura di dramma per musica, e per giunta gran lezzo di adulazione.

Negli stessi anni entrò nella vita politica patavina, divenendo membro del Comitato della Pubblica Istruzione.

 

Come già detto, Cesarotti è universalmente noto per le numerose traduzioni. Oltre a quelle già menzionate ricordiamo: quelle di Omero, Eschilo, Pindaro, Giovenale e altri autori greci, che furono poi riuniti in “Corso ragionato di letteratura greca” (I78I-’84) e ancora Voltaire, Saint-Foix, Thomas Gray.

Tra i suoi scritti personali, ricordiamo le varie opere di “riflessione linguistica” tra cui il celebre Saggio sopra la lingua italiana, cambiato nell’edizione definitiva in Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana del 1800.

 

Il trattato appare come una delle voci principali e autorevoli sul dibattito linguistico illuminista. Tema principale dell’opera è il prestito linguistico, in cui Cesarotti sostiene che possa portare ad un arricchimento della lingua, di conseguenza inserendosi nella diatriba tra i puristi e i cosiddetti rinnovatori, che auspicavano a liberare la lingua dai canoni dell’Accademia della Crusca. 

 

Intorno al 1792 il letterato diede vita a una trasformazione di Selvaggiano – in questo modo era da lui chiamata l’attuale Villa Cesarotti – databile fine del XVII secolo.

 

Io mi vagheggio la costruzione d’un certo ritiro campestre che deve essere il pascolo della mia dolce tristezza, e ch’io chiamerò il sacrario del mio cuore.

  1. Cesarotti

 

Ci vollero quasi dieci anni perché l’opera di rammodernamento giungesse al termine. 

Ne uscì una dimora sofisticata e carica di simbologie letterarie-filosofiche.

All’interno venne abbellita con pitture ed iscrizioni, con una raccolta di reperti (fossili e minerali per la maggiore) che andavano a costituire il “Museo Selvaggianesco”. 

Il giardino fu sapientemente arredato dal poeta con tanto di tempietto lapideo al centro, boschetto funebre ed erme. 

 

Per lo scrittore, il giardino conservava innanzitutto il sentimento preromantico di sensibilità, come anche quello di erudizione e di significato enciclopedico, chiamato dallo stesso “Poema vegetabile”.

 

In questa splendida cornice, furono ospitate numerose personalità tra cui: Ippolito Pindemonte (1753-1828) e la più nota Madame De Staël (1766-1817). 

 

Melchiorre Cesarotti si spense nella sua Villa di Selvazzano il quattro novembre 1808, alla veneranda età di settantotto anni. 

 

Ad oggi non rimane quasi più nulla di Selvaggiano, come la concepì il poeta, abbiamo testimonianze attendibili dagli scritti di Giuseppe Barbieri (suo allievo) e di altri letterati e amici che lo visitarono.

 

Leonardo Stecca